Fino alla conclusione della Prima guerra mondiale il Trentino faceva parte dell’Impero d’Austria. A partire dal 1859, con la perdita della Lombardia e del Veneto, il governo di Vienna programmò la difesa del confine con il Regno d’Italia. Nei successivi cinquant’anni il piano di fortificazione del Trentino portò alla costruzione di circa 80 fortezze.
In Vallagarina, a inizio ’900, si cominciò a progettare un sistema difensivo basato su cinque grandi fortezze sul monte Pasubio, a Pozzacchio, sui monti Zugna, Vignola e Altissimo di Nago. Allo scoppio della guerra, nel luglio 1914, i lavori vennero interrotti per consentire l’invio di uomini e mezzi sui fronti serbo e russo. L’unica opera realizzata fu forte Pozzacchio (Valmorbia Werk), che però rimase incompiuto.
Tra l’autunno del 1914 e la primavera del 1915 l’esercito austro-ungarico rafforzò le proprie difese costruendo la Tiroler Widerstandlinie (linea di resistenza tirolese), un sistema di trincee e postazioni militari che si estendeva dal Tonale alla Marmolada. In Vallagarina la linea, proveniente dalla zona fortificata di Riva del Garda e malga Zures, si inerpicava lungo le alture meridionali della valle di Gresta, discendeva fino all’Adige, passava per Rovereto lungo il torrente Leno per poi portarsi sul monte Finonchio. Da qui, proseguendo lungo il crinale, si collegava alle difese dell’altopiano di Folgaria.
Nel corso del conflitto più di 55.000 trentini vennero richiamati alle armi e inviati sul fronte orientale, in Galizia, una regione dell’Impero austro-ungarico oggi divisa tra Polonia e Ucraina. Lì combatterono contro l’esercito russo; moltissimi vennero fatti prigionieri, più di 11.400 morirono.
Nei primi mesi del 1915, quando la prospettiva di una guerra con il Regno d’Italia divenne via via più probabile, molti trentini di sentimenti italiani passarono il confine. Nel corso della guerra circa 700 di loro si arruolarono volontari nell’esercito italiano.
La guerra non coinvolse però solo la popolazione maschile ma tutta la società e il territorio del Trentino. Quando nel maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, il Trentino si trasformò in un campo di battaglia. Il primo effetto fu l’evacuazione dei centri abitati più esposti. Più di 100.000 persone furono trasferite verso le regioni interne dell’Austria e dell’Italia.
Gli abitanti di Trambileno, Terragnolo e parte della Vallarsa, di Rovereto, Isera e della valle di Gresta, di Mori, Marco, furono mandati in Austria, Boemia e Moravia. Furono costruiti grandi campi di baracche (Mitterndorf, Braunau, Oberhollabrunn…) chiamati “città di legno”, dove la fame, le epidemie e le cattive condizioni igieniche provocarono molte vittime.
Parte degli abitanti dell’altopiano di Brentonico e della Vallarsa, e la popolazione di Chizzola, Serravalle e S. Margherita furono allontanati dall’esercito italiano e trasferiti in diverse regioni della penisola. Ad Ala e Avio a sud, Villalagarina, Volano, Pomarolo, Nomi e Besenello a nord, la popolazione dovette convivere per tutti gli anni della guerra con migliaia di soldati. Queste località divennero sede di comandi, ospedali e depositi dei due eserciti, dove i treni scaricavano uomini e materiali da indirizzare verso le prime linee.
Nei primi mesi di guerra le truppe italiane occuparono senza difficoltà Avio e Ala, il Baldo, lo Zugna, la Vallarsa e il Pasubio, da dove gli austriaci si erano ritirati, e si spinsero fino alle porte di Rovereto. Nel dicembre 1915 alcuni reparti raggiunsero la collina di Casteldante e Loppio. Entrambi gli eserciti si dedicarono alla costruzione di strade e sentieri, trincee, postazioni per mitragliatrici e artiglierie, baraccamenti, depositi e teleferiche. Trovandosi a corto di uomini, gli austriaci mobilitarono molti civili e migliaia di prigionieri russi e serbi; ancora oggi alcuni toponimi (“Sentiero dei serbi”) li ricordano.
Nel maggio 1916 l’esercito austro-ungarico lanciò una grande offensiva (nota come Strafexpedition) e rioccupò quasi tutto il Pasubio; sullo Zugna l’avanzata venne invece fermata al “Trincerone” e a passo Buole. Nel corso delle operazioni, tre volontari trentini arruolati nell’esercito italiano – Damiano Chiesa, Cesare Battisti e Fabio Filzi – furono catturati dagli austriaci. Condotti a Trento, vennero processati, condannati a morte e uccisi nel Castello del Buonconsiglio.
Le artiglierie italiane sparavano dal monte Baldo e dal monte Zugna; quelle austriache rispondevano dallo Stivo e dal Biaena, dal Pasubio e dal Finonchio. Molti centri abitati furono distrutti, le campagne e i boschi devastati, ma dall’autunno 1916 alla fine della guerra le posizioni dei due eserciti rimasero sostanzialmente immutate. I combattimenti furono violentissimi soprattutto sul Pasubio, dove fino all’ottobre 1918 si combatté un’ininterrotta guerra di posizione. Nella zona dei Denti si ricorse all’uso dei gas e delle mine. Sullo Zugna gli episodi più cruenti si concentrarono nell’estate 1916 e nel 1918.
Migliaia di soldati morirono per le ferite, il freddo e le valanghe. Le elevate perdite imposero la costruzione di numerosi ospedali militari. A ridosso dei campi di battaglia sorsero decine di cimiteri.
A tre anni e mezzo dall’inizio della guerra proprio in Vallagarina cominciò il cammino verso la pace. Il 29 ottobre 1918 a Serravalle all’Adige una delegazione austro-ungarica chiese la sospensione dei combattimenti. La trattativa fu conclusa a Villa Giusti a Padova e portò alla firma dell’armistizio il 3 novembre. Il giorno prima reparti italiani erano già entrati a Rovereto.
Dal novembre 1918 profughi e soldati cominciarono a tornare alle proprie case lasciate all’inizio della guerra. Mori e le località circostanti, i paesi della valle di Gresta, Rovereto, Lizzana, Marco, Serravalle, Terragnolo, Trambileno e la Vallarsa erano in gran parte inabitabili. Case ed edifici pubblici, chiese e monumenti, acquedotti e linee elettriche, ponti e strade, campagne e boschi, tutto portava i segni della distruzione.
Con la fine della guerra, la scomparsa dell’Impero austro-ungarico e il Trattato di pace di Versailles, il Trentino entrò a far parte del Regno d’Italia. Iniziò la difficile opera di ricostruzione: in molti paesi la popolazione visse per mesi in villaggi di baracche; ci vollero anni prima che la vita tornasse alla normalità.
La povertà spinse molte persone a emigrare; molti tornarono sui campi di battaglia per “recuperare” materiali che potevano essere venduti: l’ultima eredità della guerra.